La famiglia Viola e il Bar ACI

Riceviamo e pubblichiamo il contributo di Francesca Viola sul Bar ACI

N ella piccola Umbria, più precisamente nella città di Terni, chiamata tra il 1919 e il 1939 “la Manchester Italiana”, vivevano nel caratteristico borgo di Sant’Agnese Lodovina e Giuseppe Viola, i custodi del Lanificio di via Gruber.

Sant’Agnese tra vicoli e stradine sterrate era adornata da fili di panni stesi tra una finestra e l’altra, di fontane pubbliche e disposti lungo i vicoli gruppi di sedie adiacenti i portoni dove gli abitanti si ritrovavano nei momenti di aggregazione.

Passeggiando tra i vicoli il profumo del bucato riempiva l’aria e gli schiamazzi dei bambini, che giocavano indisturbati, facevano percepire il clima familiare di questo piccolo angolo di Terni adagiato sulle rive del Serra.

Era il 2 maggio del 1919 quando Lodovina e Giuseppe divennero genitori di Alfio. Trascorsi gli anni dell’infanzia Alfio si ritrovò a frequentare le scuole Elementari insieme ai suoi amici del borgo. Terminate le Elementari ognuno di loro iniziò a imparare un mestiere, le bambine si dedicavano al cucito e al ricamo e i bambini ai lavori di artigianato come il falegname e il fabbro mentre Alfio decise di frequentare i ristoranti per imparare il nobile mestiere del cameriere.

Nel 1938, oramai diciannovenne partì per Firenze dove, nel ristorante “La buca di San Ruffillo”, divenne chef de rang. In quegli anni mentre si canticchiava la canzone di Gilberto Mazzi…se potessi avere 1.000 lire al mese…, Alfio rese il sogno di ogni Italiano realtà, guadagnando addirittura 3.000 lire al mese.

Orgoglioso e ormai affermato professionalmente sognava una propria attività ignaro del destino che di li a poco avrebbe spezzato il suo sogno. Era il 10 giugno del 1940 quando Benito Mussolini, decise di trascinare l’Italia nella seconda guerra mondiale, così Alfio fu costretto ad abbandonare il lavoro e ad arruolarsi.

Alfio, artigliere capo pezzo nelle campagne di Mentone sul fronte Francese, combatteva per la sua patria fissando nella sua memoria in modo indelebile gli agghiaccianti corpi martoriati e le urla strazianti dei suoi amici commilitoni. Era ben consapevole, anche se incredulo, di essere riuscito in qualche modo a sfuggire alla morte ma era ignaro della devastante distruzione subita da Terni, sotto i costanti bombardamenti anglo-americani dall’ 11 agosto del 1943 al giugno del 1944. Il piccolo borgo di Sant’Agnese, quei vicoli, quell’ambiente familiare fatto di odori e di focolari, come molti altri quartieri abitati della città, non c’era più.

Dopo l’armistizio Alfio rientrò a Terni, agghiacciante fu lo scenario che si apri ai suoi occhi, tutto era macerie, distruzione e morte. Attonito si precipitò nel borgo in cerca della sua casa e dei suoi familiari, iniziò a chiamare i loro nomi per vicoli e strade. Era silenzio. Trovava case vuote, abbandonate di fretta e altre devastate, si sentiva solo senza le sue radici.

Ingombranti cominciarono a essere i suoi pensieri, non voleva credere di aver perduto i suoi cari ma non si arrese e cominciò a chiedere informazioni ai passanti. Finalmente il suo cuore s’aprì alla speranza: i suoi familiari si trovavano sfollati a Ferentillo. Alfio ormai stremato e stanco, ma rincuorato dalla notizia, trovò la forza d’incamminarsi a piedi lungo la Valnerina per raggiungere il paese di Ferentillo.

“Un militare in piazza!” : questo il tam tam di voci tra gli abitanti, e fu subito un riversarsi di mamme e parenti mossi dalla speranza che quel soldato fosse un loro caro. Alfio scrutò tra la folla e trovò mamma Lodovina, le corse incontro e la strinse forte a sé quasi fino a farle male.

Malgrado la guerra e i suoi orrori lo avessero segnato, ritrovando la sua famiglia, rimise in moto i suoi progetti e insieme al suo amico Achille aprì un piccolo negozio di generi alimentari a Ferentillo.

Alfio improvvisamente viene catturato dallo figura di una ragazza mora, dal nome inusuale: ” piacere mi chiamo Dolcissima”. Un colpo di fulmine di quelli per tutta la vita. Fu così non per gioco, ma per vero amore che iniziò la loro storia. Presto si scoprirono l’uno l’ alter ego dell’altro, una sinergia di idee e sogni da sviluppare insieme, la loro sinergia da veri imprenditori intuitivi e lungimiranti, li avrebbe condotti al progetto vincente.  Nel 1956 daranno vita è forma a quel locale e luogo, aperto H24 sette giorni su sette e primo nel suo genere, che diventerà e ancora oggi è, uno dei simboli storici della città di Terni: Il Bar ACI

Un grande spazio antistante all’entrata era costantemente gremito di famiglie, passanti o turisti di passaggio i quali degustavano i vari prodotti e usufruivano dei molti servizi messi a disposizione da Alfio e Dolcissima, pasti veloci, i supplì caldi, tramezzini e la speciale pizza grassa di Dolcissima, per poi deliziare il palato con del buon gelato artigianale di Alfio. Tra i tavoli e con fare serio capeggiava Luigi, cameriere storico del bar e uomo di fiducia della famiglia, che sapientemente orchestrava direttive ai suoi colleghi.

L’ingresso Si apriva, come ancora oggi, in un grande ambiente diviso per settori di consumo, sulla sinistra ciotole di caramelle dai mille colori, erano disposte lungo tutto il bancone adiacente alla cassa seguite in alternanza da scatole di biscotti e cioccolatini sfusi ogni dove che ingolosivano lo stesso Alfio il quale furtivamente si deliziava il palato.  Alle spalle la vasta scelta di tabacchi e sigari capeggiavano prepotentemente. Il macinino del caffè partiva di tanto in tanto inebriando tutto l’ambiente, nel bancone frontale ecco la protagonista della caffetteria: “la macchina del caffè” e tutto intorno, allo scampanio di tazze e piattini si univa il bisbiglìo di persone intente nel consumare le pastarelle che sprigionavano quel profumo fresco e intenso di vaniglia e crema. Tutta la parete della caffetteria era una sfilata di liquori e sembravano solenni soldatini sull’ attenti.

Il Bar ACI era un crocevia di persone e personaggi, il punto di aggregazione per la vita comunitaria della Città e dei quartieri circostanti. Alfio e Dolcissima non solo avevano trasformato la loro attività in un immancabile ritrovo, ma anche in un grande palcoscenico che durante la giornata si trasformava con personaggi e offerte di consumo diverse. Il cacciatore, l’operaio, il medico, l’ artigiano, il ciclista, un via vai continuo di pubblico sempre diverso. 

Quando scendeva la sera, andava in scena il Ristorante e la pizzeria, nel grande salone situato al piano superiore dove il montacarichi aiutava i camerieri nel servire il prima possibile le portate.

Nei primissimi anni sessanta dal geniale intuito dei due imprenditori nasce il cornetto caldo della mezzanotte cosi il bancone pasticceria diventava traboccante anche di maritozzi, bombe e ciambelle fritte. Dalla sera alla mattina, dalla mattina alla notte Alfio è Dolcissima, detta Peppina, hanno alimentato è gestito questo grande teatro familiare dove ognuno della città e non solo ha lasciato e vissuto esperienze che ancora oggi fanno parte dei loro ricordi… Lu Raci

Insomma in quegli anni se non sapevi cosa fare o dove andare, al Bar ACI, dai miei nonni potevi passare.

 

di Francesca Viola

 

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